Il creditore può prendersi i tuoi assegni? La lista completa delle prestazioni INPS pignorabili e cosa dice la legge

Il creditore può prendersi i tuoi assegni La lista completa delle prestazioni INPS pignorabili e cosa dice la legge
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Dal minimo vitale alle pensioni parzialmente aggredibili, ecco come funziona il pignoramento delle prestazioni Inps e quali somme restano protette per legge.

La questione del pignoramento delle prestazioni Inps è cruciale quando un soggetto ha debiti e un creditore vuole recuperare somme trattenendo direttamente dagli importi che l’istituto eroga. Non tutte le prestazioni sono aggredibili, ci sono vincoli legali e un “minimo vitale” che non può essere toccato.

Prestazioni erogate dall’inps e possibilità di pignoramento

Le prestazioni previdenziali e assistenziali erogate dall’Inps comprendono pensioni di vecchiaia, pensioni di invalidità, assegni sociali, indennità di accompagnamento, pensioni di reversibilità, assegni di maternità, sussidi per disoccupazione e vari altri trattamenti. Non tutte queste forme sono soggette al pignoramento.

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Il debitore ha il diritto di presentare opposizione all’esecuzione se ritiene che il pignoramento sia irregolare. – www.tuttojuvestabia.it

La legge stabilisce che le somme dovute a titolo di pensione, indennità che tengono luogo di pensione o altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate fino a un certo ammontare: la parte che eccede quel limite può essere aggredita nei limiti prescritti dal codice di procedura civile. Nel dettaglio, la riforma apportata con la legge 21 settembre 2022, n. 142 ha elevato il “minimo vitale” sotto cui non è possibile intervenire, fissandolo a 1.000 euro mensili. Quindi, se la pensione è pari o inferiore a tale cifra non è pignorabile per nulla; se è più alta viene sottratta solo la parte eccedente, entro i limiti di legge (ad esempio un quinto).

Per fare un esempio: se un pensionato percepisce 1.200 euro al mese, solo i 200 euro che eccedono i 1.000 possono essere sottoposti a pignoramento — e neppure tutta quella eccedenza ma solo una quota secondo le norme del codice di procedura civile. Questo meccanismo tutela la quota minima che il pensionato ha bisogno per vivere.

Prestazioni come l’assegno sociale sono invece escluse dal pignoramento in quanto hanno natura assistenziale, non previdenziale. L’idea è che queste risorse servono a garantire un sostegno minimo di sopravvivenza. Analogamente, alcune indennità collegate allo stato di invalidità possono godere di tutela specifica, se riconosciute come prestazioni assistenziali e non assimilabili a reddito “disponibile”.

Un’altra categoria da considerare è quella delle rendite pensionistiche integrative (fondi pensione complementari). Una volta in pagamento, molte pronunce giurisprudenziali trattano queste rendite come redditi da pensione e le rendono pignorabili, con le stesse regole di limite e minimo vitale.

Infine, vi sono casi più complessi come il TFR (trattamento di fine rapporto) che, se non ancora erogato, può essere pignorato fino al quinto o al terzo (nel caso di credito alimentare). Una volta accreditato sul conto corrente, diventa una somma ordinaria e può essere sottoposto a pignoramento come qualunque deposito, salvo che vi siano vincoli e limiti.

Limiti, soglia del minimo vitale e strumenti di difesa

La soglia del minimo vitale è la pietra angolare della protezione: sotto quel tetto l’erogazione resta intangibile. Con la legge 142/2022, tale soglia è stata fissata al doppio dell’assegno sociale, con un importo minimo di 1.000 euro mensili. Chi ha pensioni più basse non subisce trattenute, chi ha assegni più alti dovrà cedere soltanto la parte eccedente, entro le percentuali fissate dal codice.

Il codice di procedura civile – soprattutto l’art. 545 – disciplina in dettaglio i limiti del pignoramento di pensioni e redditi assimilabili. Se il pignoramento supera i limiti o viola i divieti legali, è considerato inefficace e il giudice può dichiararla tale anche d’ufficio.

I creditori che vogliano intervenire devono notificare un titolo esecutivo e attivare la procedura di pignoramento presso terzi, indirizzando l’atto all’Inps quando si tratta di prestazioni da quest’ultimo erogate. L’Inps — come terzo pignorato — è obbligato a trattenere la quota spettante nei limiti della legge, lasciando al debitore la parte impignorabile.

Il debitore ha il diritto di presentare opposizione all’esecuzione se ritiene che il pignoramento sia irregolare. In tali casi, può sollevare vizi formali, errori nella notifica o nel calcolo delle quote pignorabili, e chiedere al giudice di annullare la trattenuta. In molti casi, si ricorre ai meccanismi del sovraindebitamento per bloccare esecuzioni forzate e ottenere ristrutturazione del debito.

Un elemento rilevante: se il debitore ha conti correnti collegati all’Inps o ricevuto lì le somme, l’Inps deve distinguere tra crediti futuri (prestazioni ancora da erogare) e somme già accreditate. Le norme moderne prevedono che, anche se il debito è già depositato, si continui a tutelare la funzione previdenziale della somma, impedendo che il saldo utile venga aggredito senza rispetto dei limiti.

Tra le prestazioni che generalmente non possono essere pignorate rientrano i sussidi assistenziali, gli assegni sociali, e quanto erogato per condizioni di bisogno estreme. Quando le prestazioni hanno natura mista (previdenziale e assistenziale), entra in gioco l’interpretazione giuridica per stabilire quale quota sia aggredibile e quale no.

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